Questa storia è nata in un carcere. Un detenuto albanese mi rivelò, in un incontro, il vero significato dell’antico soprannome della mia famiglia, Vrascadù. Avevo sempre creduto che volesse dire Braccia Cadute e fosse una contrazione del siciliano. Si trattava invece di una frase arbëreshë; il ragazzo mi consegnò la traduzione su una pagina strappata che ho portato con me per anni: Uccido chi voglio. È il titolo di questo romanzo, e il motivo per cui comincia con un altro biglietto spedito da Regina Coeli.
A scrivere a Vince Corso, che di mestiere cura la gente suggerendo libri da leggere, è un ergastolano di nome Queequeg. Inizia così una settimana difficile, nella quale Corso si troverà a un metro dalla follia e nel mezzo di un’indagine, ma da inquisitore a inquisito, come se oltre alla realtà anche l’alfabeto si fosse capovolto ed esistesse per davvero una Porta Magica tra i libri e la vita.
Smarrito per Roma, Vince Corso si addestra a perdersi, non a ritrovarsi. La sua è la testimonianza di un detective involontario che non riesce più a leggere il mondo che lo circonda. Un rapporto sulle ombre, e sul potere minaccioso e salvifico delle parole. Una lunga lettera al padre, dopo tante cartoline.