«La "materia" di cui tratta "Moby Dick" non è che un'abnorme espansione di un banale antefatto. Un incidente di caccia. Un episodio, dunque, assai frequente all'epoca della narrazione in un mestiere così rischioso come quello della caccia alle balene. L'incidente consiste in questo: un capitano baleniero, Achab di Nantucket, è mutilato d'una gamba nello scontro con un capodoglio, Moby Dick, noto soprattutto per la caratteristica della bianchezza. Tutto qui. Il fatto non è che una piuttosto prevedibile conseguenza dell'antefatto. Achab (ormai anziano) insegue il cetaceo per farsi vendetta (ne è ossessionato fino alla follia) della mutilazione uccidendolo. Tutto qui. L'argomento ci viene esposto da un narratore onnisciente e da un certo Ismaele – un giovane all'epoca dei fatti imbarcato sul "Pequod", il bastimento in navigazione sulle rotte di Moby Dick – che diverrà testimone oculare. Tutto qui. Bisogna leggere questo racconto per questo, senza curarsi affatto delle implicazioni (e le simboliche innanzitutto), bisogna leggerlo per quello per cui è stato concepito: narrare la lotta di un uomo (impazzito) contro un animale (astuto)... Ammirare un racconto come "Moby Dick" è possibile soltanto se si compie quell'immersione nel testo che ogni buon lettore deve fare: abbandonarsi alla lettura, alla voce (o le voci) dello scrittore, darsi alla sua affabulazione, seguirne le circonvoluzioni delle mente e dell'anima, vivendo quello che ha scritto "per divenirne il suo stile".» (dall'introduzione di Alessandro Ceni)