La vetusta signorina Maria è morta. Una piccola folla di una ventina di persone si accalca davanti alla porta della villetta. Si sgomita per presenziare all’esposizione della bara. Si potrebbe pensare che i suoi paesani le volessero bene... Nient’affatto. Era una donna odiosa, che non se la faceva né con un amico né con un parente, tanto ricca quanto tirchia. Ma di lei si dice che avesse nascosto un patrimonio negli anfratti della casa; e forse un testamento segreto, per la fortuna di qualcuno e la delusione di tanti. Fuori comincia a venire giù un nubifragio che, come spesso capita alla nostra penisola, sommerge tutto in fiumi di fango. Quando finalmente i finti dolenti sono entrati, esplode la guerra per il tesoretto: risse collettive, duelli solitari, avidità nutrite da privazioni generazionali, panni sporchi lavati in piazza di esistenze piene di vizi privati, matrimoni che naufragano ma anche tristi amori che sbocciano, piccolissimi peccati da confessionale e magagne da parrocchia. L’occhio dell’autore squadra di volta in volta scene di massa e primi piani. E misteriosamente cominciano a fioccare i morti. E sembra che non ci sia scampo per nessuno perché la villetta è restata isolata dal resto del mondo civile.
Francesco Recami, nella serie delle Commedie nere, mette in scena con ferocia comica l’umana confusione di tante vite normali, stravolte dall’ipocrisia e dal pregiudizio, dalla misera furbizia credulona e da una schifata indifferenza per la morte. Prende in giro, quasi faccia a faccia, i suoi personaggi, non si sa mai se più cinici o più illusi. Attinge generi diversi, il thriller, il mistero, l’umorismo nero e un po’ di horror, per poi metterli in parodia. E usa un meccanismo apertamente teatrale che dall’equivoco passa all’incidente, dall’incidente al danno, dal danno alla tragedia.