«Una volta aveva letto in un giallo che il commissario Maigret da piccolo voleva fare l’aggiustatore di destini». Difficile collocare questo romanzo di Recami, se un gioco di specchi, di smontaggio e rimontaggio del genere giallo (specificamente di un certo giallo: psicologico, di atmosfera e ambientato in provincia), se un autentico noir ma vissuto nei panni di un ragazzino, se non, addirittura, il resoconto complice della fantasia visionaria di un fanciullo lento solitario e provinciale.
Giulio, detto Maigret perché delle inchieste del commissario è un accanito collezionista, vive nella tenuta dei San Vittore. Il padre è il fattore della proprietà, la madre è una cuoca esperta di raffinatezze casalinghe. Quasi di fronte a ogni evento, Giulio-Maigret si domanda come si comporterebbe il commissario, ma il processo mimetico non è mai in lui totale al punto di annullare la distanza dal suo eroe di carta: il ragazzo è sempre vigile a non perdere il senso di realtà. Ma un giorno, vuoi per l’incertezza dell’alba invernale, vuoi perché la noia del paesino è divorante, vuoi perché l’episodio è particolarmente vivido e singolare, il piccolo Maigret non riesce più a sottrarsi alla sensazione di un vero mistero. Un uomo ha buttato qualcosa di ingombrante nel canale, proprio in prossimità della chiusa; e quell’uomo è salito trafelato e guardingo sullo stesso pullman che sta portando il piccolo Maigret a scuola, ed è sospettosamente coperto di un lacero impermeabile sul vestito elegante. Giulio-Maigret dimenticherebbe, ma da quel momento i fatti, le coincidenze lo incalzano: insomma, proprio come accade al vero Maigret, nella banale atmosfera quotidiana si respira qualcosa di nuovo che accende l’intuito. E che introduce in una «storia confusa di soldi, di cadaveri inesistenti, di paura e di maialini senza coda» piena di personaggi che risultano alla fine tanto sorprendentemente bizzarri quanto erano all’inizio sorprendentemente quotidiani, com’è della provincia addormentata del vero Maigret.