Quando finisce una storia d’amore? Il giorno in cui si va davanti a un giudice? Il giorno in cui un tradimento viene scoperto o confessato? Ma può davvero finire la storia di due persone che sono entrate l’una dentro l’altra, si sono esplorate con grazia, si sono prese cura dei sogni e delle paure che ciascuno di noi alleva dentro di sé? E quanto ci si può sentire sperduti, quando ci si separa dalla persona con cui si è diviso tutto? Come si può vivere senza sapere più nulla di lei? Dove si trova, come mette i piedi uno davanti all’altro, dove va, da quanta vita è pervasa, da quanto futuro è scossa? Quando c’era l’amore, anche ripiegare i vestiti era un’azione radiosa. Piegavi, riponevi nel cassetto, facevi ordine nel mondo e quell’ordine fuoriusciva dal cassetto e si adagiava su di te. Non avresti mai potuto ammalarti, e se anche fosse avvenuto, pensavi, l’amore ti avrebbe guarito. Adesso è tutto diverso. Adesso devi trovare una via e iniziare col primo passo. La casa è diventata un bivacco. Sei solo, circondato da scatoloni, sull’orlo del precipizio. Per non precipitare ti dai un compito: cambiare nome alle stanze, fare la pace con gli oggetti rimasti, scrivere i cataloghi delle gioie e dei dolori, bruciarli. Abbozzare dieci piccoli passi verso la salvezza. Nelle sue vesti di viandante e guida, nonché di autore e poeta della «viandanza», Nacci trasforma l’addio in un sentiero, dove i passi si possono contare e mettere in fila. E porta con sé lungo il cammino tutti noi, che come lui abbiamo amato e siamo stati amati. Se il secondo passo è fare pace con quello che resta, il terzo è non dimenticare. E al decimo passo, forse, sapremo fermarci nel luogo che abbiamo davanti agli occhi.