«La rivoluzione è come Saturno: divora i suoi figli». A parlare è Vergniaud, in piedi al banco degli imputati. Il Tribunale rivoluzionario ha appena pronunciato la sentenza: fino a qualche settimana prima era presidente della Convenzione nazionale, tra poche ore il boia mostrerà la sua testa al popolo.
È l’autunno del 1793. Nemmeno sei mesi prima, con l’esecuzione del re, la rivoluzione ha raggiunto l’apice. Il tiranno è morto, la monarchia finalmente abbattuta – eppure è proprio in questo momento che qualcosa s’incrina tra le diverse fazioni rivoluzionarie, che fino ad allora hanno agito di concerto. Gli eserciti delle potenze straniere avanzano verso i confini francesi, decisi a marciare su Parigi, e nella capitale la paura che qualcuno si sia venduto e stia tramando per la disfatta della Repubblica diventa sospetto, e il sospetto rapidamente psicosi. Chiunque non dia prova di costante ardore rivoluzionario – stabilisce il Comitato di salute pubblica – è da considerarsi sospetto; chiunque abbia un atteggiamento passivo nei confronti della Repubblica dev’essere arrestato, chiunque non faccia niente per essa va punito.
La Montagna e la Gironda, i brissottini e gli hébertisti: la battaglia è tanto più feroce quanto più diventa chiaro che la posta in gioco non è solo la supremazia politica, ma la vita stessa. Esecuzioni e linciaggi sono all’ordine del giorno, i sanculotti banchettano nel sangue, una dopo l’altra le teste dei leader usciti vittoriosi dalla rivoluzione cadono sotto la lama del Rasoio Nazionale. È il Terrore.
Ultimo atto dell’opera che Hilary Mantel dedica alla Rivoluzione francese, I giorni del Terrore è un lucido resoconto di quegli anni terribili, ma anche e soprattutto una storia di uomini che avanzano verso il loro personale punto di non ritorno, quando toccherà loro scegliere tra i sentimenti e gli ideali sempre più alti cui hanno legato il proprio nome, e del tributo di sangue che sempre il potere esige.